IL LICENZIAMENTO PER MOTIVI ECONOMICI. QUANDO È ILLEGITTIMO?

licenziamento

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema sul quale il nostro Studio è sempre stato in prima linea: i criteri di legittimità del licenziamento per giustificato motivoeconomico.
Ai sensi dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, il licenziamento per giustificato motivo
oggettivo deve essere determinato “da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.


La giurisprudenza ha negli anni interpretato la suddetta norma fornendo una definizione dei
requisiti di legittimità del licenziamento quali (cfr. Cass. SS.UU., 7 dicembre 2016, n. 25201):
i) effettività; ii) non pretestuosità; iii) nesso di causalità tra la motivazione e il risultato conseguito; iv) impossibilità repechage.


La ratio del regime giuridico del licenziamento poggia nella garanzia costituzionale che il nostro ordinamento fornisce al rapporto di lavoro nonché nella nullità del licenziamento c.d. ad nutum, ossia senza preavviso e senza motivazione, sancito dall’art. 2118 c.c.


Sussiste quindi un generale principio che impone al datore di lavoro di motivare il proprio recesso e che tale motivazione sia rispondente al vero. Tale impostazione è peraltro rafforzata dall’onere probatorio che il nostro ordinamento pone in capo al datore di lavoro.


Ciò detto, una delle principali criticità che hanno dato luogo negli anni a orientamenti
giurisprudenziali contrastanti consiste nella necessarietà della sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa quale elemento idoneo ad integrare i predetti requisiti di legittimità.


In altri termini ci si è chiesti se affinché il licenziamento per motivi economici sia legittimo sia sempre necessario uno stato di crisi dell’impresa.


E proprio sul punto si è pronunciata la sentenza in commento della Suprema Corte di Cassazione del 14 febbraio 2020, n. 3819.
In particolare, la suddetta sentenza ha analizzato la sussistenza o meno del requisito della
coerenza logica tra il licenziamento intimato da una azienda per un dedotto stato di crisi della stessa e l’effettivo risultato conseguito con la riduzione di personale. Essa ha così preso le mosse da un risalente orientamento ormai superato il quale concepiva il licenziamento come una extrema ratio e individuava nell’andamento economico negativo dell’azienda il presupposto per la sua legittimità.


Aderendo al più recente orientamento che ha ritenuto legittimo lo scopo perseguito
dall’imprenditore di risparmiare sui costi mediante il licenziamento anche in assenza di uno stato di crisi, la pronuncia in commento ha tuttavia fissato quale elemento dirimente la motivazione fornita dall’imprenditore.


In altri termini, nella specie, era stato accertato che il datore di lavoro aveva motivato il
licenziamento oggetto di controversia sulla base di un presunto andamento economico negativo dell’impresa. Tale crisi, tuttavia, non aveva trovato alcun riscontro. Da ciò la Suprema Corte ha potuto concludere per la illegittimità del licenziamento. Lungi dal ritenere priva di meritevolezza la esigenza dell’imprenditore di perseguire una migliore efficienza gestionale anche mediante la riduzione del personale, la Cassazione ha ritenuto tuttavia che ove l’imprenditore deduca uno stato di difficoltà dell’azienda, ciò deve trovare riscontro in ossequio ai principi di effettività, non pretestuosità e coerenza logica. Di conseguenza, pur non essendo più ritenuta necessaria la crisi dell’impresa perché il licenziamento sia legittimo, ove tale elemento fattuale sia dedotto a giustificazione del provvedimento, esso torna ad essere requisito di legittimità dello stesso.

In conclusione, è sempre importante farsi assistere da un legale in caso di licenziamento. Le motivazioni dedotte nella lettera di licenziamento sono infatti elemento dirimente per stabilite la legittimità o meno dello stesso.


Di seguito il principio di diritti sancito dalla Cassazione:
“Ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo,
l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa; ove, però, il recesso sia motivato dall’esigenza di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli o a spese di carattere straordinario, ed in giudizio se ne accerti, in concreto, l’inesistenza, il licenziamento risulterà ingiustificato per la mancanza di veridicità e la pretestuosità della causale addotta. Lo ha ribadito la Corte di cassazione in una recente pronuncia”.


Corte di Cassazione, 14 febbraio 2020, n. 3819

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