Sulla occupazione da parte della Pubblica Amministrazione e sul diritto al risarcimento del danno

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Una recente sentenza del TAR Toscana Firenze ha fornito l’occasione per ribadire il
principio di diritto secondo il quale non è ammessa nel nostro ordinamento l’occupazione
senza titolo di un immobile da parte della Pubblica Amministrazione. Essa configura un
illecito dai cui sorge il diritto al risarcimento del danno per il proprietario dell’immobile
sottratto ai sensi dell’art. 2043 c.c.
In particolare il tribunale amministrativo adito era stato chiamato a pronunciarsi in ordine
alla illegittima apprensione da parte del Comune di …… del fondo di proprietà dei ricorrenti
sul quale l’Amministrazione aveva realizzato un manufatto poi destinato ad uso scuola, e al
diritto alla restituzione e al risarcimento del danno avanzato dagli attori.
A prescindere da ogni considerazione sulla competenza giurisdizionale del TAR adito, la
questione affrontata dalla sentenza in commento è ormai nota. Sino a non molti anni fa la
giurisprudenza era costante nell’applicare l’istituto della accessione invertita, in virtù del
quale si è ritenuto che la proprietà del fondo occupato oltre i termini di occupazione
legittima e irreversibilmente trasformato per effetto della realizzazione su di esso di
un’opera dichiarata di pubblica utilità si acquistasse a titolo originario alla mano pubblica.
Sul punto era intervenuta prima la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ne aveva
ripetutamente sancito l’incompatibilità con l’art. 1 del protocollo addizionale alla
Convenzione (ex multis, CEDU, Carbonara e Ventura c. Italia, 30 maggio 2000; Scordino c.
Italia, 15 e 29 luglio 2004; Sciarrotta c. Italia, 12 gennaio 2006) e successivamente dalla
Corte Costituzionale (sent. 8 ottobre 2010, n. 293) la quale aveva altresì precisato come la
realizzazione dell’opera pubblica non costituisca impedimento alla restituzione dell’area
illegittimamente espropriata, indipendentemente dalle modalità di acquisizione del terreno.
In adesione ai suddetti arresti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno dunque
riconosciuto come l’istituto dell’occupazione acquisitiva si ponga in radicale contrasto con
l’art. 1 del protocollo addizionale alla CEDU, nell’interpretazione datane dalla Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo, ciò che comporta – in un’ottica orientata all’osservanza
dell’art. 117 co. 1 Cost., rispetto al quale la CEDU opera come norma interposta di rango
subcostituzionale – la sua definitiva espunzione e la riespansione della regola generale
dell’illecito aquiliano, “il quale non solo non consente l’acquisizione autoritativa del bene
alla mano pubblica, ma attribuisce al proprietario, rimasto tale, la tutela reale e cautelare
apprestata nei confronti di qualsiasi soggetto dell’ordinamento (restituzione, riduzione in
pristino stato dell’immobile, provvedimenti di urgenza per impedirne la trasformazione
ecc), oltre al consueto risarcimento del danno, ancorato ai parametri dell’art. 2043 c.c.”
(così da ultimo Cass., SS.UU., 19 gennaio 2015, n. 735, ma l’insanabile contrasto era stato
del pari evidenziato da Cass., SS.UU., ord. 13 gennaio 2014, n. 441).
Nel dirimere la questione oggetto di controversia, la sentenza del TAR si è conformata al
mutato orientamento osservando, peraltro, che nell’attuale quadro normativo, vigente cioè
l’art. 42-bis del D.P.R. n. 327 del 2001, le Amministrazioni hanno l’obbligo giuridico di far
venir meno – in ogni caso – l’occupazione “sine titulo” e, quindi, di adeguare comunque la
situazione di fatto a quella di diritto (Cons. Stato sez. IV, 26 agosto 2015 n. 4014).

Osserva ancora la sentenza in commento, che la scelta tra adempiere ad un obbligo
restitutorio e risarcitorio disciplinato dal diritto civile e l’esercizio di una potestà autoritativa
di acquisizione del bene in forza del regime speciale previsto dal diritto amministrativo che
l’Amministrazione deve compiere non è libera, in quanto l’art. 42-bis comma 1 T.U. 8
giugno 2001 n. 327, nell’affermare che quest’ultima, valutati gli interessi in conflitto, “può”
disporre che il bene sia acquisito al suo patrimonio indisponibile, non attribuisce
all’Autorità una semplice facoltà (il cui esercizio è per definizione libero), ma le conferisce
una potestà, cioè l’esercizio obbligatorio di un potere in funzione della cura dell’interesse
pubblico (T.A.R. Emilia Romagna, sez. II, 29 maggio 2015, n. 505; T.A.R. Toscana, sez. I,
11 febbraio 2016, n. 233).
Sicché il Collegio ha dunque sancito l’obbligo per il Comune di …… di pronunciarsi sulla
questione attraverso un provvedimento espresso nell’ambito dell’ampia discrezionalità in
ordine alla valutazione comparativa degli interessi in gioco e alla conseguente decisione in
ordine all’acquisizione o alla restituzione del bene (T.A.R. Toscana, sez. I, 13 luglio 2015,
n. 1059).
Ciò deciso, la sentenza in commento si è dunque pronunciata sul risarcimento del danno
passando all’individuazione delle voci di danno risarcibili e alla quantificazione dello stesso.
Sul punto, ribadita l’applicabilità al caso di specie dell’art. 2043 c.c., per quello che
riguarda i criteri generali di quantificazione del danno è stata richiamata consolidata
giurisprudenza a mente della quale il danno per illegittima occupazione dei suoli, deve
essere liquidato in misura pari agli interessi legali sul valore di mercato del bene (valore
desumibile dalla destinazione urbanistica dell’immobile), per ciascun anno del periodo di
occupazione, con rivalutazione e interessi dalla data di proposizione del ricorso fino alla
data di deposito della sentenza; detto risarcimento deve operare con riferimento al
momento in cui l’occupazione dell’area privata è divenuta illegittima e, quindi, dal
momento in cui è avvenuta la prima apprensione del bene sino al definitivo trasferimento
della proprietà ovvero alla sua restituzione al legittimo proprietario (Cons. Stato, sez. IV,
28 febbraio 2012, n. 1130; id., sez. IV, 29 agosto 2011, n. 4833, id. 1 giugno 2011, n.
3331; T.A.R. Veneto, sez. II, 10 luglio 2014, n. 995).
In conclusione, la sentenza in commento ha affermato il seguente principio di diritto: “la
scelta tra adempiere ad un obbligo restitutorio e risarcitorio disciplinato dal diritto civile e
l’esercizio di una potestà autoritativa di acquisizione del bene in forza del regime speciale
previsto dal diritto amministrativo che l’Amministrazione deve compiere non è libera, in
quanto l’art. 42-bis comma 1 T.U. 8 giugno 2001 n. 327, nell’affermare che quest’ultima,
valutati gli interessi in conflitto, “può” disporre che il bene sia acquisito al suo patrimonio
indisponibile, non attribuisce all’Autorità una semplice facoltà (il cui esercizio è per
definizione libero), ma le conferisce una potestà, cioè l’esercizio obbligatorio di un potere
in funzione della cura dell’interesse pubblico (T.A.R. Emilia Romagna, sez. II, 29 maggio
2015, n. 505; T.A.R. Toscana, sez. I, 11 febbraio 2016, n. 233).
[…] Il danno per illegittima occupazione dei suoli, deve essere liquidato in misura pari agli
interessi legali sul valore di mercato del bene (valore desumibile dalla destinazione
urbanistica dell’immobile), per ciascun anno del periodo di occupazione, con rivalutazione
e interessi dalla data di proposizione del ricorso fino alla data di deposito della sentenza;
detto risarcimento deve operare con riferimento al momento in cui l’occupazione dell’area

privata è divenuta illegittima e, quindi, dal momento in cui è avvenuta la prima
apprensione del bene sino al definitivo trasferimento della proprietà ovvero alla sua
restituzione al legittimo proprietario”
T.A.R. Toscana Firenze, Sez. I, Sent., (data ud. 09/02/2022) 15/02/2022, n. 174
Michele TROTTA e Giuseppe LIBUTTI
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