SE LA SINISTRA INSEGUE LA PEGGIOR DESTA. No a qualsiasi forma di autonomia diefferenziata.

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attuare la costituzione

Breve premessa storica.

La riforma costituzionale del titolo V della Costituzione è avvenuta nel 2001, in un parlamento guidato dal centrosinistra, anche se ha riferimenti ben più lontani, a partire dalla Legge BASSANINI del 97, in cui si parla di “federalismo amministrativo e fiscale a costituzione invariata”.

La riforma del 2001 possiamo definirla come “riforma di tipo tattico”, nel senso che essa aveva lo scopo di togliere terreno al partito della “lega per l’indipendenza della Padania”, facendo propri da parte della “sinistra” temi da sempre cari alla destra ed appannaggio, fino ad allora, del partito della “lega nord”.

Con il senno di poi (in realtà non era difficile comprenderlo anche nel momento di approvazione della riforma) si può affermare senza timore di essere smentiti che si è trattato di un errore che sta provocando gravi conseguenze sul piano della tenuta dei principi costituzionali che sorreggono il Nostro Paese.

Ci sia di insegnamento il fatto che la Costituzione si caratterizza per il suo impianto unitario ed organico ed è pressoché impossibile concepire una riforma della stessa che non tenga conto dei fondamentali principi in essa contenuti; per quanto qui ci interessa, vengono in gioco l’indivisibilità della nazione ed il dovere di solidarietà, che affronteremo nel corso dello scritto.

Quadro giuridico.

Prima di questa riforma il nostro ordinamento conosceva solo ed esclusivamente due tipi di regione: quelle a statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige, in realtà, quest’ultima, costituita dalle province autonome di Trento e Bolzano ex art. 116 Cost.) e quelle a statuto ordinario, le restanti.

Con la riforma del 2001 si è proceduto alla modifica dell’art. 116 Cost. al cui terzo comma è statuito: “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’art. 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre regioni,” (diverse da quelle a statuto speciale di cui al primo comma) “con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’art. 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.

L’art. 117 della Costituzione disciplina le competenze statali e regionali.

Sappiamo che lo Stato ha competenza esclusiva in alcune materie (tra cui figurano a titolo esemplificativo e non esaustivo: immigrazione, moneta, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali ecc.); mentre ha competenza concorrente in altre materie tra cui: “commercio con l’estero, porti e aeroporti civili e valorizzazione dei beni culturali”.

Si può agevolmente notare che la distinzione tra competenza esclusiva e concorrente non è sempre di agevole comprensione.

Si pensi ai beni culturali, cui allo stato spetta la tutela, ed alle regioni la valorizzazione dove essa quasi sempre è identificata con la vendita del bene stesso.

Tutte le materie che non sono specificatamente individuate nella materia esclusiva o concorrente sono di competenza delle Regioni, dove la più importante è sicuramente la sanità.

L’autonomia differenziata riguarda le materie indicate dal secondo e terzo comma dell’art. 117 Cost. e nello specifico sono: la lettera l) limitatamente alla giustizia di pace, n) norme generali sull’istruzione e s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Per tale forma di autonomia è prevista una procedura speciale che prevede che la Regione interessata avanzi la proposta di avere maggiore indipendenza; tale proposta deve essere discussa e successivamente dovrà essere raggiunta un’intesa tra lo Stato e la Regione interessata.

Qui a mio avviso si individua il primo punto vero della questione, vale a dire che la Legge (giustamente) parla di intesa tra Stato Regione e non tra Governo (che costituisce l’Organo esecutivo) e Regione.

Le Regioni che hanno chiesto maggiore autonomia lo hanno fatto sulla base di un referendum, nel caso di Veneto e Lombardia, e su iniziativa del Consiglio regionale l’Emilia-Romagna, e ritengono che l’intesa raggiunta tra Governo e Regione sia immodificabile. Per cui al Parlamento non resta che approvare a maggioranza assoluta l’accordo preso senza alcuna possibilità di modificarlo.

Proviamo a fare chiarezza. Nel nostro sistema costituzionale non è possibile in alcun modo imporre al singolo parlamentare di non proporre emendamenti, per cui il primo punto consiste nel fatto che l’intesa raggiunta è sempre e comunque modificabile dal Parlamento.

La possibilità di apportare modifiche è di fondamentale importanza poiché nel nostro ordinamento costituzionale non è possibile tener conto di cosa chiede una singola Regione e non tener conto delle esigenze delle altre Regioni.

Ciò poiché la richiesta va inquadrata in un campo più ampio, che tenga conto delle necessità di tutte le Regioni.

Sussiste, infatti, un dovere di solidarietà tra le Regioni, ragione per la quale devono essere preliminarmente identificati i c.d. LEP (livelli essenziali di prestazione) senza l’identificazione dei quali non è possibile trasferire poteri, materie e funzioni, né tantomeno attuare interventi perequativi in favore dei territori meno dotati di servizi.

Ciò impone che non si possa andare al di sotto dei livelli standard e che, quindi, nessun trasferimento di materie è possibile se non vengono prima identificati i c.d. LEP.

Collegato al tema del trasferimento di competenze vi è quello legato ai conti, vale a dire che insieme alla competenza deve essere trasferito anche il costo.

Qui una breve considerazione personale: ad avviso dello scrivente è assolutamente sbagliato parlare di secessione dei ricchi così come viene comunemente detto.

È opportuno evidenziare che al nord non ci solo ricchi, come al sud non ci sono solo poveri, e che alcune delle Regioni del nord che vengono identificate come virtuose hanno portato avanti processi di privatizzazione, in campi di fondamentale importanza come ad es. quello della sanità.

Quello che deve caratterizzare a mio avviso una ferma opposizione verso questi processi di autonomia deve essere il netto contrasto a precise politiche, quali ad esempio quelle di privatizzazione della sanità, in quanto l’assistenza sanitaria per Costituzione e per diritto universale deve essere garantita a tutti.

Bisogna, quindi, riunire tutti coloro che sono contrari a processi di privatizzazione indiscriminata, che viene quasi sempre identificata come efficienza, per coordinare una opposizione che nel merito contrasti specifiche politiche governative.

È assolutamente riduttivo e perdente una opposizione che si basi esclusivamente sul nord (ricco) contro sud (povero).

Eccezioni di costituzionalità

È appena il caso di evidenziare le numerose violazioni del dettato costituzionale che presenta l’intesa così come concepita.

1) L’intesa dal punto di vita dell’ordinamento costituzionale dello Stato non è un atto competente ad attribuire forme di autonomia differenziata, in quanto essa è priva della natura di fonte del diritto;

2) non è contemplata nel nostro ordinamento una legge che escluda in linea di principio le Camere dal procedimento legislativo. Si pensi solo a titolo di esempio alla compressione che subirebbero i poteri del Presidente della Repubblica, al quale sarebbe precluso il potere di rinvio alle camere della legge di approvazione;

3) il Parlamento vedrebbe limitate le proprie competenze in tema di autonomia regionale, che sarebbero solo in capo ai consigli regionali, ai quali verrebbe consentito ogni necessario dibattito sul merito, dibattito negato al Parlamento.

Sarebbe davvero difficile immaginare come possa essere possibile che il legislatore parlamentare possa con legge costituzionale espandere (in ipotesi) le competenze statali, mentre il Governo e le Regioni possono decidere di limitarle.

Si tratterebbe assolutamente di un’eccezione che non supererebbe lo scrutinio di ragionevolezza nel caso in cui venisse sottoposta alla Corte Costituzionale.

Qui ci fermiamo dopo avere evidenziato solo le eccezioni più macroscopiche.

Conclusione.

L’intesa non è un fatto privato tra la Regione interessata e il Governo, ma è una questione che riguarda lo Stato cioè tutti noi. L’esecutivo da solo non rappresenta lo Stato, che è composto anche da tutti gli organi territoriali, Comuni, città metropolitane ecc., perciò è fondamentale aprire un dibattito pubblico.

Quello che stiamo vivendo è assolutamente singolare se si pensa che non abbiamo ancora visto una bozza di testo di intesa.

E’ invece assolutamente necessario rendere noto cosa viene trasferito, quanto costa, dove vengono presi i soldi.

Allo stato dei fatti, quindi, mancano i presupposti per prendere una decisione nell’interesse della comunità. 

           Giuseppe LIBUTTI