Lo Stato di diritto e il diritto di punire

Che in Cina sia stata eseguita una condanna capitale non è una notizia, data la frequenza con cui in quel Paese ciò avviene. Si tratta dunque di “normalità”. A colpire è piuttosto il commento di un giornale di Pechino. Il giustiziato è un giovane contadino che aveva ucciso un funzionario del partito comunista. Costui aveva ordinato l’abbattimento della casa del giovane, che la stava ristrutturando nell’imminenza delle nozze ed era stato perciò fortemente sconvolto.

Sul caso si era mobilitata l’opinione pubblica con la richiesta della salvezza dello sventurato mediante la conversione della condanna a morte in ergastolo. Ma in Cina la giustizia, come si dice, non guarda in faccia a nessuno e fa il suo corso fino in fondo! Il giornale di Pechino ha scritto: “È il trionfo dello Stato di diritto, perché la legge si attiene solo ai fatti e non ammette compromessi con i sentimenti della gente”.

Così ha commentato la vicenda il filosofo Aldo Masullo:

Ciò che nelle parole del giornale cinese inquieta è l’identificazione dello Stato di diritto con l’inflessibilità, anzi direi la spietatezza, della funzione punitiva.

Si ometta pure l’ovvia osservazione che regole dettate dal legislatore legittimo in nome del diritto mite e della punizione personalizzata sarebbero anch’esse leggi dello Stato e dunque, se ciò avvenisse, il “sentimento della gente” non si troverebbe in intollerabile contrasto con la formale inesorabilità della legge, ma costituirebbe un materiale prezioso per suggerire nuove linee. La questione va ridotta in termini elementari, a partire dal fatto che la maturazione civile appare frenata da vecchi modelli di stratificati pregiudizi. In breve, se nella coscienza comune lo Stato di diritto viene dai più immaginato ancora secondo il modello dell’astratta durezza punitiva, e se l’attenzione alle concrete situazioni delle persone e ai loro condizionamenti sociali si considera un mero umanitarismo peloso, allora ogni tentativo di umanizzazione della pena evidentemente appare come una minacciosa lesione del principio stesso dello Stato di diritto.

Perciò la severità di un giudice inesorabile, per essere utile dev’essere accompagnata da una dolce legislazione. In ogni caso la certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, ma unito con la speranza della impunità. Peraltro la pena prevista dalla legge non solo dev’essere moderata, mai più grave di quanto strettamente lo esiga la riparazione del danno sociale, ma soprattutto dev’essere sentenziata con prontezza, evitandosi quanto più è possibile la carcerazione preventiva. Insomma non è la terribilità della pena a far desistere dal delitto. La pena prevista dalla legge sia dunque mite ma sia irrogata con prontezza, e sia certa la sua esecuzione! In questo quadro, lo Stato di diritto, i cui statuti garantiscono il rigoroso rispetto delle regole, e in particolare lo Stato non solo liberale nelle garanzie ma pure democratico perché legittimato dalla volontà popolare, non necessariamente, per non contraddirsi, si scontrerebbero con i sentimenti della gente calpestandone la normale pietà.cassazione-corte-2
tratto da ANAI

il presente articolo è pubblicato al fine di promuovere una discussione.