La Corte europea dei Diritti dell’uomo condanna l’Italia per l’ILVA a Taranto

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CEDU – CONVENZIONE EDU- DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMILIARE
Corte europea dei diritti dell’uomo, sez. I, Sentenza 24 gennaio 2019, n. 54414/13 e 54264/15

Fatto
180 cittadini che hanno vissuto nel Comune di Taranto hanno proposto 2 ricorsi contro l’Italia alla Corte europea dei Diritti dell’uomo ai sensi dell’art. 34 della Convenzione e.d.u..
E’ notorio che l’ILVA è una importante industria di produzione dell’acciaio e che sul diretto conseguente impatto ambientale e sulla salute della popolazione locale siano state prodotte allarmanti e numerose relazioni scientifiche.
Già nel 1990 il Consiglio dei Ministri individuava i Comuni “ad alto rischio ambientale” tra i quali rientrava Taranto e chiedeva al Ministero dell’ambiente di elaborare un piano di decontaminazione delle aree interessate.
Dal 2012 il Governo adottava una serie di provvedimenti (per lo più Decreti Legislativi) noti come “Salva ILVA”.
Nel 2017 con Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri è stato prorogato al 2023 il termine per l’attuazione delle misure previste dal piano di risanamento ambientale.
Contro tale provvedimento hanno presentato ricorsi alla Giustizia amministrativa la Regione Puglia ed il Comune di Taranto, ad oggi i processi sono ancora in corso.
Sono stati introdotti anche diversi procedimenti penali contro la proprietà dell’ILVA, volti a denunciare i gravi problemi ecologici e adeguatamente sanzionare i danni causati dall’adulterazione generalizzata degli alimenti, la mancata prevenzione degli incidenti sul lavoro, il degrado della proprietà pubblica e l’inquinamento atmosferico in generale.
Alcuni di questi procedimenti si sono conclusi con condanna del Gruppo dirigente dell’ILVA.
In particolare, la Corte di Cassazione ha rilevato che i Dirigenti dello stabilimento ILVA erano responsabili dell’inquinamento atmosferico, dello scarico incontrollato di materiali pericolosi e dell’emissione nell’atmosfera di “particolato”.
“Particolato” che, come il supremo Collegio rilevava, continuava ad essere prodotto e immesso in atmosfera nonostante gli accordi stipulati tra la Proprietà e le Autorità locali
Già nel 2011 La Corte di giustizia dell’unione europea dichiarava che l’Italia era venuta meno ai propri obblighi ai sensi della Direttiva 2008/1 CE del Parlamento europeo e del Consiglio in tema di prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento.
Inoltre, nel 2014, veniva aperta una procedura di infrazione contro l’Italia ed in tale contesto la Commissione europea emetteva un parere motivato chiedendo alle Autorità italiane di rimediare ai gravi problemi di inquinamento accertati.

Diritto
Il ricorso lamenta la violazione degli articoli 2 (diritto alla vita) e 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo.
I Ricorrenti denunciavano che lo Stato Italiano non si è attivato per proteggere la loro salute e l’ambiente e che, inoltre, non è riuscito a fornire loro informazioni utili sull’inquinamento e sui rischi connessi alla loro salute.
La Corte adìta ha considerato i ricorsi esclusivamente ai sensi dell’art. 8 e dell’art. 13 (diritto ad un ricorso effettivo), poiché vi era stata la violazione del diritto ad un rimedio efficace.
Quanto all’art. 8 la Corte sanciva che fin dagli anni ’70 studi scientifici hanno dimostrato gli effetti inquinanti delle emissioni dello Stabilimento dell’ILVA sull’ambiente e sulla salute pubblica e tali studi non erano contestati dalle Parti.
Tra questi, il “Rapporto SENTIERI 2012” (Studio Epidemiologico Nazionale del Territorio e degli Insediamenti Esposti a Rischio Inquinamento) confermava il nesso causale diretto tra l’esposizione ambientale alle sostanze cancerogene inalabili prodotte dalla società Ilva e lo sviluppo di tumori polmonari e pleurici e di patologie cardiovascolari nelle persone residenti nelle aree colpite.
Anche uno studio successivo, del 2016, aveva dimostrato l’esistenza del nesso causale tra l’esposizione a PM10 (ossia le famigerate “polveri sottili”) e a SO2 (Diossido di zolfo) da fonti industriali, derivanti dall’attività produttiva dell’ILVA, e l’aumento della mortalità per cause “naturali”, nefropatie e cardiopatie, nella popolazione di Taranto.
La Corte costatava l’inefficacia dei provvedimenti statali adottati e la mancata assunzione di misure raccomandate nel contesto dell’ “AIA” (Autorizzazione Integrata Ambientale), necessarie per ridurre l’impatto ambientale con conseguente apertura di una procedura di infrazione dinanzi alle Autorità dell’Unione Europea.
Pendente la quale, il termine per l’attuazione del Piano ambientale approvato nel 2014 è stato rinviato al 2023 e si sono susseguiti numerosi Decreti legislativi (c.d. salva-ILVA) intesi a garantire la prosecuzione dell’attività della fabbrica, pur in presenza di precise Relazioni scientifiche e di iniziative giudiziarie che attestavano i gravi rischi per la salute e per l’ambiente.
Come se non bastasse era stata concessa un’immunità amministrativa e penale alle persone responsabili di garantire il rispetto dei requisiti ambientali, all’amministratore giudiziario ed al futuro acquirente dell’ILVA.
Sulla base di quanto su esposto la Corte ha constatato la persistenza di una situazione di inquinamento ambientale che ha messo in pericolo la salute dei ricorrenti ed in generale l’intera popolazione residente nelle aree a rischio.
Veniva altresì costatato che le Autorità nazionali non erano riuscite ad adottare tutte le misure necessarie per garantire il diritto dei Ricorrenti al rispetto del loro diritto alla vita ed all’incolumità fisica, garantita dall’art. 8 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo.
La Corte non si è limitata a costatare tale violazione ma ha anche accertato che i Ricorrenti non avevano avuto a disposizione un rimedio efficace che permettesse loro di denunciare dinanzi ad Autorità nazionali le loro problematiche, e garantire la salubrità dell’area ai cittadini, con conseguente violazione anche dell’art. 13 della Convenzione.
La Corte, inoltre, negando che fosse necessario applicare la procedura della c.d. sentenza pilota, ha ribadito che è compito del Consiglio dei Ministri, ai sensi dell’art. 46 della Convenzione, indicare al Governo i provvedimenti da adottare sul piano pratico al fine di garantire l’esecuzione delle Sentenze della Corte.
In punto di fatto veniva ribadita l’urgenza di interventi di bonifica delle aree limitrofe.
La Corte, infine, condannava l’Italia a risarcire i Ricorrenti con € 5000,00 a titolo di costi e spese sostenuti/e per ciascun ricorso, sostenendo che la constatazione di una violazione costitutiva è di per sé sufficiente a soddisfare il danno non patrimoniale.

Brevi considerazioni
La storia giuridica recente evidenzia sempre più l’impossibilità per i Cittadini di avere uno strumento giuridico a tutela concreta dei propri diritti e interessi fondamentali.
Nel caso ILVA recenti studi dell’Istituto superiore di sanità (attentamente esaminati per la stesura della Sentenza della Corte dei diritti dell’uomo) hanno evidenziato che i bambini che vivono a Taranto hanno la probabilità di ammalarsi di tumore del 54% più alta della media regionale.
Non è più tollerabile che dal 1990 siano noti allo Stato Italiano gli studi in merito alle conseguenze dannose per l’ambiente e per la salute dalle attività dell’ILVA e che non vengano prese, di conseguenza, iniziative idonee a riparare a tali danni.
La Corte di Strasburgo statuisce con questa Sentenza che il Governo Italiano ha l’obbligo di porre immediatamente rimedio alle conseguenze delle attività di ILVA e di prevenire futuri danni.
A quanto sopra si è aggiunta la trasmissione, da parte del Tribunale di Taranto, degli atti alla Corte Costituzionale della questione riguardante l’immunità amministrativa e penale del Commissario straordinario e dell’acquirente.
Dinanzi a tale stato delle cose, al Governo non spetta che porre immediatamente rimedio, anche se ormai tardivo.
Giuseppe LIBUTTI
Avvocato in Roma