BENI COMUNI E PROPRIETA’ ALL’INTERNO DEL CODICE CIVILE

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IL MIO INTERVENTO ALL’ASSEMBLEA DI PRESENTAZIONE DEL MANIFESTO PER LA SOVRANITA’ COSTITUZIONALE

Perché è importante parlare di beni comuni.

Una delle ragioni consiste nel fatto che i beni comuni sono importanti come strumento per promuovere la partecipazione dei cittadini nella gestione della cosa pubblica, così come sancito nella nostra carta costituzionale negli articoli 3. 43 e 118 u.c..

Rileggiamoli:

Art. 3.

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E`compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 43.

A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.

Art. 118 ultimo comma.

Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.

Il punto nodale è proprio quello del riconoscimento del passaggio da cittadini amministrati a parte attiva nella gestione della cosa pubblica.

E’ pacifico che i beni comuni non sono disciplinati all’interno della Costituzione e che non può esistere una disciplina dei beni comuni che non sia volta all’accoglimento dei principi costituzionali.

E’ questo il caso della delibera n. 140 del 2015 di Roma Capitale, la quale ha come scopo principale la riacquisizione dell’intero Patrimonio immobiliare di proprietà di Roma Capitale, considerato nel suo complesso come “bene comune”, senza prevedere alcun regime transitorio che permetta il proseguo di tutte quelle attività esercitate dalle associazioni concessionarie di detti immobili, che a seguito del provvedimento di riacquisizione resterebbero sospese, così come di fatto sta accedendo.

Dall’emanazione di detto provvedimento ad oggi si sono alternate ben tre amministrazione: il partito democratico che ha approvato detta delibera, il Governo tecnico del Prefetto Tronca, ed ora il Movimento 5 stelle, senza che nessuna di esse riuscisse a disciplinare la riacquisizione e la riassegnazione di detti immobili.

Infatti, ad aggravare il quadro, ove possibile, vi è il fatto che detti immobili vengono riacquisiti attraverso lo strumento dell’autotutela amministrativa senza che vi sia la possibilità di riassegnarli, posto che il regolamento che disciplinerà le riassegnazioni è atteso da ormai quattro anni.

E’ palese che detto agire della pubblica amministrazione contrasta con l’articolo 97 Costituzione e quindi, con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, nella misura in cui con la riacquisizione vengono sospese le attività sociali esercitate nei locali pubblici, viene sospeso il pagamento del canone di locazione e gli immobili restano privi di custodia e lasciati nel più totale stato di abbandoni, con il rischio di essere oggetto di abusive occupazioni.

Altro esempio di un cattivo utilizzo della categoria dei beni comuni è dato dalla proposta di legge così detta Rodotà.

Il testo della legge risale al 2007 ed ha uno scopo “contabilistico”, quello di costituire “un conto patrimoniale delle Amministrazioni pubbliche basato sui criteri della contabilità aziendale”.

Il testo di legge non tiene conto di tutti quei processi partecipati che vanno dalla vittoria al referendum per l’acqua pubblica a tutte quelle sperimentazioni dal basso come per esempio il teatro Valle occupato.

In primo luogo occorre evidenziare che il testo di legge è stato già depositato in cassazione ed i cittadini partecipano a questo “processo” esclusivamente firmando la proposta d legge, in alcun modo possono influire sul testo.

Il testo di legge, inoltre, andrebbe nelle mani dei parlamentari come “legge di delega” con tutte le conseguenze che possono intervenire in ordine alla sua modifica.

Nel merito, per brevità, posso riportare solo una eccezione, quella relativa alla esclusione dei cittadini dall’azione di risarcimento del danno arrecato al bene comune, ove è legittimato solo lo Stato inteso come persona giuridica e non come Stato comunità (articolo 1 lettera d) n. 1).

Tutto ciò è in netto contrasto con l’essenza dei beni comuni, se pensiamo a quanto teorizzato dal premio Nobel Elionor Ostrom in tema di processi partecipati ed al dettato costituzionale, ebbene, questa proposta di legge popolare si colloca all’esatto opposto.

In una visione costituzionalmente orientata della proprietà il Prof. paolo Maddalena ha elaborato una proposta di legge di modifica degli art. 832 e seguenti del codice civile in tema di diritto di proprietà e che riporta i beni comun i nell’ambito del dettato costituzionale.

La proposta è la seguente:

Articolo 1.

  1. L’art. 832 del codice civile è sostituito dal seguente:

“Il proprietario ha il diritto di godere della cosa, materiale o immateriale, assicurandone la funzione sociale. La mancata osservanza di questo obbligo estingue il diritto di proprietà e comporta l’acquisizione della cosa, da parte del Comune in cui la cosa si trova, per destinarla a fini sociali.

Il proprietario ha diritto di disporre del bene in modo da non contrastare l’utilità sociale, o recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. In caso di inadempimento di tale obbligo, l’atto di disposizione è nullo e il proprietario è tenuto al risarcimento del danno”.

Articolo 2.

  1. Il secondo comma dell’articolo 826 del codice civile è soppresso, conseguentemente all’articolo 822, dopo il secondo comma è aggiunto il seguente: ”Fanno parte del demanio pubblico indisponibile le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d’interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della Corona, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra. “

Articolo 3.

  1. Il secondo comma dell’articolo 948 del codice civile è sostituito dal seguente.

“L’azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione, e salvi gli effetti del mancato svolgimento, nei termini previsti dai regolamenti comunali, delle attività necessarie per assicurare il perseguimento della funzione sociale della cosa materiale o immateriale”.

Articolo 4.

1. “Sono beni comuni le cose, materiali o immateriali, che, per la loro natura e per la loro funzione, soddisfano diritti fondamentali e bisogni socialmente rilevanti, servendo immediatamente la collettività, la quale, in persona dei suoi componenti, è ammessa istituzionalmente a goderne in modo diretto. Detti beni sono naturalmente fuori commercio e in proprietà collettiva demaniale o in uso civico e collettivo. Qualora si trovino in proprietà privata, la pubblica amministrazione è tenuta a riacquisirli al patrimonio pubblico, mediante lo strumento della prelazione nelle vendite. E’ in suo potere istituire sugli stessi le necessarie servitù pubbliche. In ogni caso l’autorità amministrativa è tenuta a controllare che sia perseguita da parte del proprietario la funzione sociale dei beni a lui nominalmente appartenenti. Nei casi di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio, la pubblica amministrazione è tenuta ad acquisirle alla proprietà pubblica e, se del caso, a trasferirle o ad affidarle a comunità di lavori o di utenti, secondo quanto previsto dall’articolo 43 della Costituzione. Ai fini della tutela dei beni comuni, così come sopra definiti, sono legittimati ad agire in giudizio anche i cittadini singoli o associati, secondo il principio di sussidiarietà”.